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Mar Cinese Meridionale: il Conflitto Mai Risolto

Il 6 ottobre 2020 sono atterrati a Tokyo gli aerei che hanno accompagnato nella capitale giapponese i ministri degli esteri di Stati Uniti, Australia e India, rispettivamente Mike Pompeo, Marise Payne e Subrahmanyam Jaishankar. Ad attenderli c’erano il padrone di casa Yoshihide Suga, nuovo capo del governo giapponese, e Toshimitsu Moteg, titolare agli affari esteri. Obiettivo di questa visita è stato quello di riprendere gli incontri del Quad (Quadrilateral Security Dialogue), il dialogo quadri-laterale avente l’obiettivo di riformare un “Free and Open Indo-Pacific”.

L’equilibrio globale precedente alle guerre mondiali è stato interrotto dal progressivo emergere della Cina, percepito con preoccupazione da tutti e quattro gli Stati membri del Quad, come dimostrano le dispute tra India e Cina sulla “Line of Acutal Control” per stabilire il confine tra i due stati o la cosiddetta “nuova guerra fredda” tra Pechino e Washington per ottenere il primato nel campo dell’innovazione tecnologica. Questi scontri sono caratterizzati da “botta e risposta” tra governi, che spesso si concludono con un nulla di fatto, vista la necessità di conservare relazioni comunque pofittevoli in campo economico. La tendenza ad aggredire e poi ritrattare, a non essere mai troppo fermi e decisi sulle proprie posizioni, è caratteristica anche della disputa sul Mar Cinese Meridionale, a cui si assiste ormai da decenni. Quella disputa vede la Cina opporsi agli altri paesi che si affacciano sullo stesso specchio d’acqua: Malesia, Taiwan, Thailandia, Brunei e Vietnam, sostenuti dall’America e dall’Australia. Lo storico conflitto sembra però aver riacquistato oggi peso, sia nell’ottica della ripresa dei dialoghi tra i membri del Quad, sia perché la tensione è tornata alle stelle nella scorsa estate. Tutto ciò fa prevedere l’apertura di importati incontri diplomatici (e/o scaramucce militari) tra Xi Jinping e le controparti. A questo punto, risulta necessario ricordare per quali ragioni quella zona è da sempre considerata tra le aree più calde del quadro geopolitico internazionale.

Parabola Storica
Le isole del Mar Cinese Meridionale sono da sempre considerate una grande risorsa per il controllo dei commerci. Oggi 1/3 delle rotte mercantili globali attraversa questa zona. Il vero interesse economico iniziò a maturare nel 1968, quando il Ministero per le Risorse Geologiche Cinese valutò che in questa zona fossero presenti circa 17.7 miliardi di tonnellate di petrolio e, successivamente, giacimenti di gas naturale per 5,4 triliardi di metri cubi. Per questo motivo, dopo pochi anni, il governo del Dragone iniziò a occupare l’arcipelago vietnamita delle isole Paracelso, approfittando della debolezza dello Stato di Saigon, impegnato nella guerra contro l’America. La politica di estensione del dominio cinese toccò nel 1977 anche tre delle isole Spratly, con un’azione che consentì al governo comunista di prendere il controllo del centro del Mare Cinese Meridionale. Questa avanzata non è stata fermata dall’UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea) del 1982. Nella convenzione redatta dall’ONU si definisce il concetto di “Zona Economica Esclusiva” (EEZ), cioè l’area del mare dove ad ogni Stato è consentito sfruttare le risorse disponibili nell’arco di 200 miglia dalla propria linea costiera. Diversi Stati decisero di non firmarla, tra questi anche Washington e Pechino. In particolare, La Cina rifiutava l’idea che le terre emerse occupate negli anni precedenti non venissero considerate isole, ma semplici rocce, insufficienti perciò a definire un allargamento dell’EEZ.

A questo punto il governo di Xi Jinping ha iniziato a chiedersi come fare a dare rilevanza a questi “scogli”, trasformandoli in un importante vantaggio nazionale sullo scacchiere della zona. La soluzione è stata quella di costruirvi basi militari, convertendo gli atolli in veri e propri arcipelaghi di ampi territori artificiali. Con l’“Island Building Campaign” del 2013 l’area delle rocce è stata infatti estesa, rovesciando tonnellate di sabbia su quelle piccole porzioni di territorio già esistenti e sulle zone in cui il fondale era basso. Sono stati così creati 3200 acri di terra emersa. Nell’ottica di occupare di fatto le isole appartenenti ad altri Stati, un’altra tecnica adottata è quella della “Cabbage Strategy”. È stata messa in pratica la prima volta nel marzo 2014 su un atollo delle Filippine, Ayungin Shoal, distante 105 miglia dallo Stato di Manila, contravvenendo alle direttive dell’UNCLOS. L’isola, che ospitava otto militari, è stata accerchiata dalla flotta cinese, che impediva così l’arrivo di ogni sorta di aiuto. Il continuo incremento dell’influenza di Pechino su quest’area gli consentì di inviare un maggiore numero di navi nell’arcipelago delle Spratly, col compito di attuare la “Cabbage Strategy”, innescando così un processo circolare volto alla conquista di ulteriori posizioni strategiche in mare.

Questo comportamento è stato stigmatizzato dagli Americani e dagli altri governi che conservano interessi nell’area e che sono spaventati dalla minaccia cinese. Il governo di Xi Jinping per parte sua rivendica una propria giurisdizione attraverso la celebre “9 Dash Line”: una linea tratteggiata in nove parti che su mappe risalenti al periodo dalle spedizioni navali del XV secolo collocava il 90% del mare in questione sotto la giurisdizione dell’allora regnante dinastia Ming. Nel 2016 il tribunale Internazionale dell’Aia ha giudicato inaccettabile questa argomentazione, prendendo le parti dell’ASEAN (l’associazione che riunisce Taiwan, Malesia, Thailandia, le Filippine, Bruti) e degli Stai Uniti contro Pechino. Tuttavia, il governo cinese ha deciso di annunciare pubblicamente di non riconoscere l’autorità e la sentenza del tribunale olandese, giudicandola priva di qualunque valore.

Ultimi Avvenimenti
Dopo questi eventi, nel 2018, tutti gli Stati che affacciano sul Mare Cinese del Sud hanno deciso di stipulare un Codice di Condotta, ma anche questo tentativo è fallito dopo poco tempo. Una soluzione non si è più trovata e per mesi si è accumulata una tensione non indifferente. Sulle isole contese ora sorgono importanti basi militari che attirano l’attenzione delle intelligence nemiche, desiderose di spiarne le tecnologie innovative e controllarne l’organizzazione. Ne è un esempio l’evento dell’8 settembre 2020, quando i servizi segreti americani hanno sorvolato le Isole Spratly con un aereo malese, del quale era stato modificato il transponder (strumento che permette di identificare un aereo dalle stazioni radio istallate sui territori di passaggio). Il fatto è stato scoperto dal think tank del governo cinese (SCS Probing Initiative) e tempestivamente denunciato dallo stesso su Twitter.

Nonostante ciò, ill ruolo degli Stati Uniti è di difficile analisi oggi giorno: il suo supporto per gli Stati dell’ASEAN in questa battaglia è evidente, ma sono proprio i governi asiatici a prendere spesso le distanze da Washington. Si tratta di un gioco complesso e infinito che si muove tra equilibri fragili, nel quale pare evidente come gli Stati all’estremo sud-est asiatico abbiano bisogno di supporto militare, ma allo stesso tempo debbano considerare anche la convenienza economica. È evidente che per loro le esportazioni con la Cina rischiano di subire una notevole riduzione in seguito a manifeste alleanze con l’America. La dipendenza così stretta tra le diverse economie dell’area ha una duplice origine: la prima – naturale - è data dalla posizione geografica, la seconda – viziata - è alimentata da decisioni strategiche, come l’azione sul fiume di Mekong. Lì la Cina ha costruito delle dighe per creare energia con centrali idroelettriche che secondo il governo di Pechino sarebbero utili per salvaguardare i villaggi a valle e irrigare i territori sulle rive. Tuttavia, non tutti la pensano allo stesso modo. In particolare, il Vietnam (il “paese a valle”) ha registrato quest’anno il più alto livello di siccità e ha compreso, con preoccupazione, che l’unico modo per risolvere questo problema sarebbe quello di dialogare e trattare con il governo cinese.

La medesima esigenza di non allontanarsi dalla politica di Xi Jinping per ragioni economiche è fortemente sentita anche dalle Filippine, che il 2 giugno 2020 - dopo quasi sessantotto anni di alleanza con la Casa Bianca - hanno ritirato l’accordo per poter avere rapporti commerciali più liberi e far crescere la propria economia puntando sull’export.

Il distacco registrato tra gli Stati Uniti e alcuni governi dell’ASEAN (Association of South-East Asian Nations) non impedisce all’ex-alleato di avere ancora un ruolo attivo nell’aerea, ad esempio vendendo armi al governo di Taipei. L’ultimo contratto (del valore di 493 milioni di dollari) è stato chiuso il 9 luglio scorso e ha dato l’input a una serie di eventi che hanno acceso un aspro botta e risposta durato tutta l’estate. Così, il 13 luglio Mike Pompeo ha definito il governo cinese "Unlawful" (anche per continuare ad alimentare l'attacco di Donald Trump alla Cina in vista delle elezioni di novembre) e sei giorni dopo gli Americani, accompagnati dall'Australia e dal Giappone, hanno iniziato alcune esercitazioni navali nel mare delle Filippine. La reazione cinese non si è fatta attendere, con esercitazioni navali così vicine a Taiwan da costringere il governo di Taipei ad annunciare lo stato di emergenza.

Il 29 luglio in questa disputa è entrata anche la Malesia, che ha dichiarato illegittimo il comportamento di Pechino, innescando una tempestiva risposta sotto forma di un diretto attacco politico alla Casa Bianca, improntato dall'accusa di minare alla stabilità mondiale e regionale. Se questo bipolarismo “Cina contro tutti” dovesse accentuarsi, costringerebbe gli Stati dell'estremo sud-est asiatico a scegliere se stare dalla parte del benessere economico (e quindi con la Cina), oppure dalla parte della sicurezza militare e politica (e quindi con l\'America). Questa scelta è destinata a mutare completamente l’assetto geopolitico del Mar Cinese Meridionale, con un probabile impatto su tutto il mondo, arrestando drasticamente le intenzioni egemoniche di Pechino o offrendogli possibilità in più di arricchirsi e insieme far sentire la propria influenza sull'economia Occidentale. Per evitare che quest'ultima possibilità diventi reale, non sorprenderebbe una decisione del Quad tesa a trovare nuove misure per ridimensionare l'espansione cinese o spingere gli stati incerti a schierarsi contro la Cina. Tutto è ancora molto incerto.

Intanto, il prossimo incontro tra India, Stati Uniti, Australia e Giappone è programmato per la fine di novembre. Di conseguenza nuove e ulteriori reazioni da parte del governo di Xi Jinping dovranno essere commisurate alle decisioni prese da quel sodalizio di paesi. Ora come ora, la tendenza dichiarata è quella di cercare ad ogni costo un dialogo, ma, visto il rifornimento di armi e le rigide posizioni ultimamente assunte dalle controparti, non si può escludere del tutto la possibilità di uno scontro armato.

Quad Ottobre 2020
Per ora ci limitiamo a riportare i diversi temi trattati il 6 ottobre, che mostrano quanto sia ricca l’agenda politica ed emergenziale dell’area pacifica: il problema della disinformazione; la necessità di stipulare una nuova Convenzione delle Nazioni Unite per il diritto del mare nella regione marittima a Sud della Cina, l’allargamento ad altre questioni regionali come il ruolo della Corea del Nord e l’allargamento della crisi al Mar Cinese Orientale e Meridionale; il ruolo positivo delle potenze extra-regionali (i paesi europei) come ragione per mantenere un Indo-Pacifico libero e aperto; la cooperazione sull'accesso ai vaccini COVID-19; la sicurezza informatica e i problemi dei dati. Il Segretario di Stato Americano Mike Pompeo, in un’intervista a “Nikkei Asian Review”, rilasciata prima degli incontri ufficiali del 6 ottobre ha affermato:” We [membri del Quad] can begin to build out a true security framework for the Indo-Pacific” e ha descritto il Quad come il “fabric” che potrebbe “counter the challenge that the Chinese Communist Party presents to all of us". Il Quad sembra sempre più configurarsi come un asse rivolto a contrastare in ogni modo Pechino.

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