Gli Stati Uniti stanno passando un periodo di instabilità politica e sociale senza precedenti – le istituzioni al centro della repubblica americana e la sua cultura sono state attaccate. La prosperità e stabilità della nazione sono state minacciate. Il futuro è incerto e con il recente insediamento del presidente Biden siamo arrivati a un bivio in cui il paese dovrà scegliere se guarire o se permettere alla divisione di distruggerlo. Per capire adeguatamente le profonde complessità dell’attuale divisione in America è necessario esaminare la storia dell’ascesa degli Stati Uniti alla superiorità economica e politica. Non è sufficiente concentrarsi su una delle due parti perché l’economia e la politica sono interconnesse. Poiché la cultura e i valori politici hanno aiutato il paese a ottenere la leadership mondiale, possono anche causarne la caduta.
Potenza economica americana e il divario durante le due guerre mondiali
L’economia degli Stati Uniti dopo la guerra d’indipendenza non era all’avanguardia e globalmente competitiva. Infatti, l’economia era divisa in realtà regionali, a loro volta ereditate dai vari colonizzatori stranieri. A nord, il commercio era il settore economico trainante mentre negli stati del sud l’agricoltura basata anche sullo schiavismo era in continua espansione. Lo sviluppo economico fu accompagnato anche da un aumento demografico, con importanti effetti anche sull’espansione territoriale. Dopo un periodo di crescita lenta e graduale, dal 1820 in poi la popolazione statunitense crebbe rapidamente grazie alle migrazioni dai paesi europei. Nel mentre, il paese si espanse a ovest verso la California. Tuttavia, a livello ideologico e politico, sin dalla sua fondazione gli Stati Uniti aderirono agli ideali dell’isolazionismo: già i padri fondatori sottolinearono l’importanza per gli Stati Uniti di evitare le guerre che affliggevano ciclicamente l’Europa. George Washington e Thomas Jefferson furono i maggiori esponenti di questa dottrina. Infatti, Jefferson durante il suo discorso di inaugurazione nel 1801 dichiarò “pace, commercio, e amicizia sincera con tutte le nazioni, alleanze intricate con nessuna”. Rispettando tale ideologia, durante questo periodo il Paese si concentrò sulla produzione e sulla vendita interna, facendo prosperare l’economia.
Sul finire dell’Ottocento, l’economia americana si aprì maggiormente a scambi commerciali con l’estero: sulla costa est il commercio globale e le innovazioni nell’ambito bancario permisero al paese di diventare il creditore principale durante la prima guerra mondiale, in cui gli Stati Uniti entrarono principalmente per motivi economici. Infatti, non solo i sottomarini tedeschi affondarono le navi mercantili americane, ma gli Stati Uniti non potevano lasciare che le potenze della Triplice Alleanza (in particolare Francia e Gran Bretagna), di cui erano creditori, cadessero: ciò avrebbe avuto conseguenze drammatiche per il conseguimento e il mantenimento della leadership economica.
Fu così che nel periodo tra le due guerre gli Stati Uniti continuarono a modernizzare le fabbriche tramite l’automazione e la standardizzazione con sempre più efficienti catene di montaggio, riuscendo così a ridurre i costi di produzione e i prezzi di vendita. Allo stesso tempo si sviluppò la cultura del consumo: gli americani iniziarono a comprare più che mai i nuovi beni di consumo, tra cui macchine, mobili e lavatrici, che in fretta riempirono le case americane. Fu così che nel 1920 l’economia americana surclassò quella di un’Europa distrutta e divisa, diventando l’economia più forte a livello mondiale. Nonostante la grande depressione del 1929 con il crollo della borsa newyorkese durante il Martedì Nero, l’America mantenne il suo ruolo dominante negli affari economici mondiali.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale si aprì una nuova fase per il prosperare dell’economia americana e per la sua ascesa in qualità di leader politico: il paese affrontò un nuovo dibattito sulla possibile partecipazione al conflitto e l’attacco a Pearl Harbour si rivelò decisivo. Infatti, l’attacco giapponese a sorpresa e non provocato sul suolo americano venne visto come un affronto imperdonabile e portò il paese ad abbandonare, almeno momentaneamente, la posizione isolazionista. Lo sforzo economico del paese si concentrò quindi sul settore bellico e di conseguenza il governo convertì numerose fabbriche alla produzione militare. L’economia registrò una crescita senza precedenti, aggiungendo più di 17 milioni posti di lavoro e aumentando la produzione industriale di oltre il 90%. Infatti, la guerra rappresentò per l’economia interna, anche se involontariamente, una soluzione keynesiana: l’enorme aumento della domanda derivante dalla guerra agì positivamente sulla produzione come shock, dando lavoro a migliaia di persone. Questo a sua volta stimolò l’economia domestica, che raggiunse il livello di prosperità a cui Roosevelt aveva ambito con il New Deal. Dalla produzione delle macchine alle navi di guerra: tutto ciò rese l’America non solo una potenza bellica formidabile, ma anche la prima economia al mondo. Questo legame tra industria automobilistica, primato economico e produzione bellica appare ancora più chiaro considerando il caso di William Knudsen, presidente della casa automobilistica General Motors, che accettò un nuovo ruolo come capo della produzione militare. Egli notoriamente dichiarò nel 1940 al salone dell’auto di New York “Gentlemen, we must out-build Hitler”, ovvero sottolineò l’esigenza della partecipazione dei grandi industriali nello sforzo bellico così da sconfiggere la Germania nazista di Hitler. È quello che le grandi imprese americane fecero: Hitler fu sconfitto grazie allo sforzo congiunto dei russi, con un potente e ingente esercito, e degli americani, senza pari nella produzione e nel finanziamento dei paesi alleati. Alla fine dello scontro, vinto anche grazie al progresso nella scienza nucleare, gli Stati Uniti raggiunsero l’apice. Ma la questione era ancora aperta: gli Stati Uniti avrebbero deciso di tornare alla loro tradizione isolazionista o avrebbero esercitato la loro influenza?
Il sostegno americano all’Europa e la resa del vantaggio competitivo. Recupero globale e diminuzione della crescita
Gli Stati Uniti decisero di non tornare all’isolazionismo: il paese era pronto ad assumere il ruolo di leader economico e politico. Questa decisione fu dettata anche dalla preoccupante e temuta crescente influenza dell’Unione Sovietica e dalla volontà di evitare uno scenario caotico come quello verificatosi dopo la prima guerra mondiale. In particolare, l’Europa impoverita e distrutta dalla guerra suscitava grandi preoccupazioni: si temeva in parte l’instabilità politica e una deriva comunista e in parte la diminuzione nella richiesta delle merci americane e l’adozione di misure protezionistiche. Per rilanciare economicamente l’Europa occidentale e assicurarsi il prosperare di istituzioni democratiche filo-americane, gli Stati Uniti crearono il piano Marshall e varie agenzie per supervisionare la distribuzione dei fondi e supportare la cooperazione economica europea, tra cui l’Organisation for European Economic Cooperation e lo European Productivity Agency. L’America consapevolmente cedette parte del suo vantaggio competitivo per supportare il rilancio europeo portando ingegneri e manager dalle fabbriche americane per insegnare moderne tecniche produttive. Questo piano richiese un grande dispiego di risorse economiche: dal 1948 al 1952 gli Stati Uniti immisero 135 miliardi di dollari nelle economie europee. Oltre al costo, il Piano Marshall richiese una logistica incredibile per distribuire in modo efficace i fondi in tutta l’Europa occidentale. L’intervenzionismo economico coincise con l’ambizione politica degli Stati Uniti di mediare i rapporti conflittuali tra la Francia e la Germania, assicurando stabilità nella regione. Con il supporto fiscale degli Stati Uniti e la determinazione dei popoli europei di stabilizzarsi, l’Europa riuscì a ricominciare a prosperare. Nei seguenti decenni, l’Europa riuscì a diminuire il divario economico con gli Stati Uniti e a tornare alla sua influente posizione nell’economia globale.
L’Ascesa della Cina e il processo dell’industrializzazione
Dal dopoguerra gli Stati Uniti si convertirono a un’economia di servizi. Tale cambiamento fu significativo perché permise al paese di spostare la produzione delle merci semplici nei paesi in cui i costi erano inferiori, mentre il cittadino iniziò a lavorare in ufficio utilizzando la sua educazione. Questo è un cambiamento che tanti paesi in via di sviluppo cercano ancora di imitare. Fra i paesi che sono stati interessati da un intenso sviluppo economico vi è sicuramente la Cina.
Dall’inizio degli anni 2000 la Cina è velocemente diventata il principale paese produttore e ora tramite il suo piano Made in China 2025 ha in programma di innovare e specializzare la propria economia e la produzione nel settore high tech. La repentina crescita economica cinese ha avuto importanti conseguenze sociali e demografiche: negli ultimi decenni milioni di persone sono state strappate alla povertà e la qualità di vita in tutto il paese è aumentata. Ma riuscire a competere con gli Stati Uniti e prendere il loro ruolo nella leadership economica rappresentano per la Cina ancora importanti sfide. Ciò dipende anche dal fatto che il sistema educativo americano è più sviluppato e l’economia americana continua a offrire numerosi vantaggi per le imprese. Ci si domanda anche se il sistema economico, politico e sociale cinese riuscirà a rimanere prospero e stabile nel lungo termine. Molti cinesi hanno accettato un governo che attua misure considerate dall’occidente repressive in cambio di una crescita economica costante e di un miglioramento della qualità della vita e delle opportunità. Cosa succederà quando ci sarà, inevitabilmente, un rallentamento o un plateau di crescita? Il popolo cinese continuerà ad accettare un regime rigido, il governo si adatterà o ci sarà instabilità politica ed economica? In confronto alla stabilità economica e democratica degli Stati Uniti, la Cina ha ancora molto da chiarire.
Divisione politica e sociale – l’America è in discesa o sta rinascendo?
C’è sempre stata divisione negli Stati Uniti: tensioni tra etnie, classi, sessi e confessioni religiose fanno parte di un paese animato da diversità come l’America. Questa crepa sociale e politica è spesso stata messa da parte in nome della nazionalità e del conseguente nazionalismo: una divisione per lo più nascosta. Però queste profonde differenze sono diventate sempre più spesso motivi di ostilità.
L’elezione di Donald Trump ha creato una spaccatura profonda nella popolazione, situazione gravemente peggiorata durante i procedimenti per impeachment e la crisi sanitaria del Covid-19. Nei mesi prima delle elezioni del 2020, in America c’era un sentimento di paura e di incertezza causato dalla mancanza di centristi e da un’apparente incapacità, o mancanza di voglia, di discutere o scendere a compromessi. Ora sembra mancare l’abilità di mettere da parte le differenze e riunirsi sotto un’unica bandiera come sono sempre riusciti a fare gli americani in momenti di necessità. Questa polarizzazione è avvenuta da anni e non si può incolpare Trump per averla creata, ma certamente è possibile dire che l’ex presidente l’ha portata allo scoperto e ha aggravato la situazione con la sua retorica pericolosa e divisiva. Infatti, gli Stati Uniti sembrano essere in una posizione estremamente debole in questo momento: il 6 gennaio del 2021 una folla violenta ha saccheggiato il campidoglio a Washington DC. Per la prima volta dall’invasione degli inglesi durante la guerra del 1812 quell’edificio, un simbolo della repubblica americana, è stato violato. Questo atto, direttamente influenzato e condonato da Donald Trump, è simbolo della fragilità degli Stati Uniti. Una fragilità sia politica sia economica e scaturita principalmente dalla crisi del coronavirus.
Politicamente il dibattito si concentra sulle azioni dei repubblicani nei confronti di Trump e sull’abilità di Biden di superare le crepe sociali create dalla precedente amministrazione, nel contempo da un punto di vista economico vi sono numerosi interrogativi sulla reale capacità dell’economia americana di uscire dall’attuale recessione. Mentre nei primi anni della sua amministrazione Trump ha supervisionato un’economia con un tasso di crescita annuale del 2.5%, con la disoccupazione in calo e la povertà a un minimo storico, con l’insorgere dell’emergenza prima sanitaria e poi economica del coronavirus la situazione è drasticamente cambiata. Il protezionismo è stato un pilastro della politica economica di Trump, evidente dai più di 550 miliardi di dollari di tariffe che ha messo sulle merci cinesi, un atto che ha provocato tariffe ritorsive da parte dei cinesi.
Biden quindi eredita un’economia molto volatile e danneggiata: mesi di chiusura, cali drammatici delle vendite e disoccupazione di massa definiscono la preoccupante situazione economica, con più di 20 milioni di americani disoccupati. Però, il nuovo presidente ha già proposto una soluzione: uno stimulus plan dal valore di più di 1.9 miliardi di dollari, il cui successo sarà fondamentale per la ripresa economica.
Inoltre, l’immagine e la credibilità del paese nello scenario internazionale sono connesse alla sua stabilità politica ed economica. Se Biden non riesce riparare le crepe dell’amministrazione di Trump, è probabile che ci sarà un continuo declino del potere americano e una morte dell’ordine globale del post guerra fredda. D’altrocanto, una vittoria delle istituzioni americane e un rilancio dell’economia porterebbero alla continuazione dell’attuale ordine globale, con i suoi vantaggi ma anche le sue fragilità. Quest’ordine guidato dagli Stati Uniti ha portato a un periodo di crescita economica che ha ridotto la povertà mondiale e ha aumentato la qualità di vita e le opportunità. Però, se il tessuto sociale e ideologico degli Stati Uniti, basato sull’ideale di libertà, continua a deteriorarsi, il paese potrebbe non essere più in grado di guidare il mondo. Stabilità sociale e stabilità economica sono intrecciate: il legame tra la grandezza economica degli Stati Uniti e le sue forti istituzioni democratiche è ciò che ha consentito agli Stati Uniti di guadagnare e mantenere il loro ruolo guida e, se non ci saranno cambiamenti drastici verso l’unità nazionale e la revitalizzazione economica, il futuro dell’ordine mondiale potrebbe essere incerto.
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